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Donato Palumbo©, all rights reserved
...O vergini, o demòni, mostri, martiri, grandi spiriti
spregiatori della realtà, assetate d'infinito, devote o
baccanti, piene ora di gridi ora di pianti,
o voi, che la mia anima ha inseguito nel vostro
inferno, sorelle, tanto più vi amo quanto più vi
compiango per i vostri cupi dolori, per le vostre seti
mai saziate, per le urne d'amore di cui traboccano i
vostri cuori.
Charles Baudelaire, Femmes damnées, Les fleurs du mal.
"Il fiore del mare"di Donato Palumbo è un progetto multiforme e particolarmente pregevole poiché gravido di rimandi letterari, artistici e simbolici. Non sfuggirà al fruitore il richiamo nel titolo a Les fleurs du Mal, raccolta lirica di Charles Baudelaire, basata sul viaggio immaginario che il poeta compie verso l' inferno che è la vita. E' nelle stesse pagine dell' opera, censurata in origine per temi e titolo scelto, "Les lesbiennes", che si allude all' amore omosessuale tra donne.
Nel progetto di Palumbo la fotografia diviene arte ri-creativa, al servizio di un racconto che si svolge su piani molteplici. Il registro fotografico dell' artista, sempre più riconoscibile nella cifra personale, ci dona la delicata trasposizione di un tema complesso, cercando di rispondere a interrogativi ruvidi.
Quanto costa vivere i sentimenti? Cosa è lecito e cosa buono? Come si racconta il malessere d' amore, lo struggimento che porta all' autodistruzione, quel fuoco che arde il cervello, i ciechi labirinti del cuore e della mente?
La serie "Il fiore del Mare" si apre in un luogo posto tra il reale e l' onirico. Una mano afferra un braccio. La presa non è salda e non trattiene una caduta inevitabile. Un corpo di donna sprofonda nelle stesse acque nere d' inchiostro baudelairiane e come moderna Ofelia nelle parole della regina Gertrude, "...le sue vesti si sparsero larghe e, come una sirena, la sostennero alquanto..." L'acqua intorno ci tiene sospesi, c' induce ad ascoltare in silenzio le emozioni e le sensazioni empaticamente vissute. L' acqua, metafora della vita, ci riporta alle origini, abbraccia senza stringere, accoglie, avvolge. Nell' elemento primigenio per eccellenza, associato nella visione psicoanalitica junghiana all' inconscio, alla matrice della coscienza, Palumbo compone una scena emotivamente ipnotica, collocata in una dimensione asonora e slegata da coordinate spazio-temporali.
L' eco shakespeariana si estende. Come Ofelia, "una creatura che avesse avuta origine in quell' elemento e che quasi vi si sentisse adattata e disposta dalla natura...", il corpo immerso diventa uno con l'acqua, insieme abisso oscuro e liquido amniotico del grembo materno. Si dipana una lotta struggente verso la risalita, dove i movimenti confusi e vorticosi del corpo seguono la faticosa diatriba interiore. Un' identità sofferta e sofferente si disvela lentamente: sul volto segnato si leggono lo sguardo del dolore e la fatica del vivere.
Donato Palumbo si serve di un linguaggio severo, un bianco e nero drammatico e carico di pathos, che come nelle parole di Robert Frank " simboleggia l' alternanza di speranza e desolazione al quale il genere umano è soggetto". E la donna, protagonista della serie, è lo strumento d' indagine scelto per l' analisi della condizione umana, quell’ isola d’ orrore in un mare di noia che descrive Baudelaire. Ciò nonostante, ci pare di ravvisare una debole forma di riscatto: un bacio, salvifica illusione conduce alla fine del viaggio e segna il momento di rottura, la transizione a nuova vita. Finalmente una luce forte e vitale rischiara quel volto nascosto e trasfigurato dal gorgo emotivo: l' acqua da matrigna ritorna madre, ventre in cui si compongono tensioni e caos. Donato Palumbo ci regala così una sintesi di catarsi e pura quiete.
Anna Iallorenzi